Alessandra Crabbia
1° classificata
Quel che gli uomini non sanno
E ora dimmi, madre,
ora che le ore sono ormai veloci,
ora che la fiaccola della mia vita si sta spegnendo,
mentre vedo il tuo volto solcato da scie di dolore,
mentre il tuo ventre urla la fine del suo primo nato,
dimmi dei lontani e benedetti giorni della mietitura,
il tuo grembiule bianco al vento,
le tue mani dure tra le spighe,
le danze del villaggio estatico sotto la luna di giugno,
e le sere in cucina a bisbigliare antiche saghe
mentre fuori soffiava il vento cruento dell’est.
Dimmi del cavallo più forte che accarezzavi con mani ruvide,
quello che tirava il carro di fieno alla fiera di Tzarig.
Dimmi che Alisa non dimenticherà il mio nome
e che parlerà di me ai figli di un altro tempo di pace.
Non è santa questa guerra, madre,
ma offro il mio petto squarciato ai campi d’oro delle prossime mietiture
e ai ragazzi liberi che lavorando guarderanno il cielo muto
senza più udire il cupo fragore della morte a cavallo.
Quel che gli uomini non sanno
lo stringo ora tra le mie mani, madre,
ed è la mia vita che sfugge ardendo,
mentre i tuoi occhi
sono sempre
sempre più lontani.
Maria Antonietta Sozio
2° classificata
Ricordo
Agilmente
ricamando morbide traiettorie in volo
giochi con il vento
parli con le nuvole.
Viaggiatore armonioso e forte
solchi le immensità remote
con ali vigorose
fuggi lontano a rigenerarti
poi nuovamente torni.
Come profumi di fiori
intensamente
ti spargi intorno
mi avvolgi e ti lasci carezzare
mentre
rapita
in te mi perdo.
Anna Maria Monchiero
3° ex aequo classificata
Mani
Audace architettura
da pollice a pollice
fluido il movimento
per gesti ripetuti invano
se non hai colmato
di sale che brucia
ferite ancora aperte
Mani gemmate
da quel nudo amore
deposto nel grembo
quando verde infantile
d’erba stretta nel sonno
serrava il palmo
Intessute di enigmi
per il vuoto che contengono
non scrissero mai
di colori stanchi
ora appoggiate sul davanzale
come viola appassita
in un bicchiere.
Marta Murari
3° ex aequo classificata
Per una nonna
Faccia di pietra,
viso antico tra giovani fiori,
hai petali appassiti
e sbiadite corolle,
occhieggi dal roccioso giardino
appeso al lembo della via,
fissando la vita.
Lei sfreccia veloce,
oramai miope
non ha più sguardi per te,
intanto i tuoi solchi precipitano
giù dagli occhi opachi,
lungo le guance,
oltrepassando la bocca
scendono verso i seni,
che si abbandonano stanchi,
vagamente memori
di una pienezza perduta.
Daniela Raimondi
5° classificata
L’ultima poesia
Rimarrà di noi solo un ricordo.
Un bacio a bocca chiusa.
Un filo d’acqua che scivola lontano.
Antiche guerre hanno lasciato corpi mutilati sotto il cielo
e lenta la vita coprirà di neve le tenere memorie del passato.
Rimarrà di noi solo un rimpianto.
Un’estate finita in un sussurro senza più colore.
I nostri giorni insieme riposeranno un sonno breve e tormentato,
poi un mattino avrò scordato la tua voce
e niente resterà di te, se non un canto triste senza più parole.
Rimarrà di noi solo dolore.
Il vento dell’inverno urlerà di solitudine e paura
fra vecchie strade che un giorno percorremmo insieme.
Poi la pioggia cancellerà quei nostri passi senza più rumore
e laverà le notre ombre inquiete,
nel silenzio.
Dennis La Commara
6° classificata
Veli
Presi la tua mano nella mia mano
mentre l’allodola cantava i sentieri di sempre
in un bosco giallo filtrato di rosso
guardavo i tuoi occhi incoronati da piccoli fiori
e la candida veste scendeva come un abito talare
e lieve sottolineava il tuo incedere leggero.
Frizzante e fresca l’alba interruppe il fiero pianto
che amò la notte ed i nostri corpi
e sgorgava caldo e sincero dagli occhi appagati
rigando le guance e mischiando le essenze,
come due fiumi addolciscono il mare.
Hai mai pianto l’amore per celebrarlo?
Stefano Valeri
7° classificata
Silenziosi venti dell’est
Ascoltalo non temere
senti bene il suo respiro
le sue impercettibili arie
milioni di suoni che tacciono
e riempiono spazi infiniti.
Il vuoto che si riempie
il tutto che si svuota
per far posto al tuo spirito
che scende da spazi incontenibili
da tempo immemorabile in attesa.
Niente si fa impossibile
quando l’assurdo si fa uomo
e senza inizio e né fine
insegui pensieri non tuoi.
I sentimenti condensano
mostrano lineamenti sconosciuti
non fuori ma dentro
la forza e la speranza
si uniscono nella tua storia.
Ascoltalo il silenzio
mentre sussurra nel cuore
parole mai ascoltate
tradotte da primordiali emozioni.
Chiudi gli occhi non servono
dove la luce diventa viva
con pupille non formate
che attraversano i suoi atomi
e nulla portano alla coscenza
quando questa è orientata
ad ascoltare
i silenziosi venti dell’est.
Delio Carnevali
8° classificata
E disse 1
Ci sono giorni che non so che sia
il pianeta terra.
Mi guardo intorno a sera
appena il sole dorme, e vedo
impressionati a fondo nello spazio
opaco del crepuscolo segni infiniti,
alberi, colline, uccelli, oscure forme
e i fantasmi discreti della luce
che s’appressa alla morte quotidiana.
Quasi non riconosco i miti
di questo globo così poco adatto
alla vita, ed ecco torna il terrore
d’essere altrove, viaggiatore
di spazi inesplorati,
senza casa né patria.
Cerco uno specchio per fermare il dubbio
alla figura che ricordo
e mi chiedo chi sono, rinnovando
quell’antica parola della Genesi
che mi quietò le ansie adolescenti.
Ma non so a chi somiglio,
non so dov‘è l’immagine promessa
che dovrebbe ricondurmi ai sogni,
quell’infinito ovale che ricordi
la mia faccia, dov‘è un pensiero
che conosca il mio pensiero,
un cuore che del mio sveli il linguaggio.
Quello che so dell’uomo è quanto
dicono i libri, quello che mi torna
con l’eco dell’infanzia,
quello che vedo quando conto gli anni
della storia e spio quelli che vivo.
In nessun luogo mai un segno che dia
una dimensione umana oltre il reale.
Allora mi nascondo alla luce
e piango sul Dio che mi somiglia.
1 E disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Genesi: 2,26
Giovanna Fozzer
9° classificata
Sequenza
La mente un arabesco di ramages,
intreccio di vene palpitanti
che diramano da un unico pensiero,
pensiero dolcissimo possente.
Vietato da ragione ed esperienza,
sognare è ancora sgranare
sequenze di parole fiamma-ardente,
oppure inventare soave,
affondare le radici nell’antico,
ondate-dolcezza
d’incantate filastrocche balbettate,
chiamare chiamare con nomi amorosi di cose,
d’uccelli e d’animali e fiori,
invocare invocare – amiche fantasie giocose della mente.
Propria di voi è anche
grande tenerezza segreta,
fuga visibile dal dolore altrui,
visibile astensione dal proprio;
“ci diremo un addio senza propositi”,
sentimento della soglia o forse
necessità dell’abbandono, della perdita.
Libere forme cangianti appena
quasi lenti densi colori
su lastra di marmo,
nitidi in voi si compongono
elementi potenti di pensiero, silente
vita interiore.
Misura cavalleresca, celata nei segni sottili,
nell’arabesco di svagatezza e silenzio.
Matteo Pazzi
10° classificata
Sul prossimo impennarsi dell’onda
Sul prossimo impennarsi dell’onda
Si staglia un accerchiante corteo di foglie secche
Ingrandite dal molteplice privarsi della riva.
Lieve labbro, attraccato all’oscillare di un ramo,
Livido, suggello luccicante, gettato da un faro sulla costa.
L’onda schiaccia le rotondità dell’erba azzurra,
Commenta la calce dell’alba prima che l’aria
Abbia accarezzato i patti della pioggia,
Passaggi di sipario respirante tra due chiarori.
Sul prossimo impennarsi dell’onda
La mia mano tocca ma non trattiene
Quel fuggevole spigolo arrossato, consapevolezza d’acqua
Che scivola lungo gli argini della bocca notturna,
Sospesa effige di monumento inafferrato;
Come fondamenta sussurranti in chiavi di presenze.
S’oscura e schiarisce fra steli bianchi,
Un attimo, giunco di porta spalancata, vola verso l’alto
E poi crolla sotto le chiome confinanti di uno sguardo,
Forse siamo lacrime immobili sopra un falso piano
Che presto possiederà le movenze di un ago-cielo estraneo…
Marisa Elia
11° classificata
Pasqua
Quando torna la luce
gli aironi planano
claudicanti a flotte
sul piano immoto
delle acque si appagano
ascoltando evanescenti
le ultime gocce cadute,
dalla notte alla luce
a fatica venute
mentre si confonde
il cielo a pallide tende.
Senza riparo dalla morte
mi muovo sotto il suo cielo
sulla terra andando
che calma respira,
proprio quando di più
essa mi attira,
un urlo di gabbiano
mi assale
ed il fiume che dentro
mi scorre
steccati abbatte di gesso
nobiltà farisaiche
ultima inconsapevole
negazione della vita.
Antonio Zocchi
12° classificata
Di cosa Morrai, cosa ardua è saperlo 25/12/1999
Di cosa morrai,
cosa ardua è saperlo
perché la tua mente
cancella la morte,
nel soffio immortale
che è la tua anima.
Nel soffio scomposto,
dell’indecisione di un gatto
ho visto l’incertezza
scontrarsi con la follia,
d’istanti sconosciuti
che provocano scuro.
Se fuggo con la ragione
ritorna il sentimento
che consuma quelle briciole
che la vita mi ha lasciato.
Il folle è come un intimo respiro
che m’assale in attimo remoto
mi lascia pensare.
Di cosa morrò non voglio saperlo
perché la mia vita
voglio che resti
un’eterna domanda.